Sostenibilità, efficienza, autosufficienza energetica, transizione ecologica. Negli ultimi anni, queste espressioni sono entrate sempre più nel dibattito pubblico, diventando alcuni degli obiettivi più importanti nelle agende dei governi di tutta Europa. Ci sono molti modi per declinarle in concreto, e uno di questi è l’istituzione delle comunità energetiche rinnovabili.

 

Già diffuse da anni in molti paesi dell’Europa del nord, tali forme di gestione dell’energia si stanno finalmente sviluppando anche in Italia, e si spera che in futuro continuino a crescere.

 

Cosa sono? In sostanza, si tratta privati, imprese o semplicemente enti locali che scelgono di cooperare insieme per installare impianti rinnovabili, con lo scopo di raggiungere un nuovo tipo di consumo energetico basato su principi simili a quelli della cosiddetta “economia circolare”. A definirne le caratteristiche e il funzionamento è stato il decreto-legge del 30/12/2019 n. 162, anche detto “Decreto Milleproroghe”. Ma vediamo nel dettaglio quali sono i loro requisiti.

Le caratteristiche di una comunità energetica

Comunità energetiche: caratteristiche principali

Ai sensi dell’articolo 42 del “Decreto Milleproroghe”, le comunità energetiche sono formate attraverso dei contratti privatistici e essere costituite da:

  • Persone fisiche
  • Piccole e medie imprese, enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali

Come chiarisce la norma in questione, lo scopo fondamentale di questo tipo di associazioni non è il lucro, ma al contrario “fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera la comunità”.

 

Per poter costituire un ente giuridico riconducibile alla definizione di comunità energetica, bisogna poi rispettare una serie di specifiche condizioni. In primo luogo, partecipanti sono tenuti a produrre energia destinata esclusivamente al loro consumo, attraverso degli “impianti alimentati da fonti rinnovabili”.

 

Questi ultimi devono inoltre:

  • Avere una potenza non maggiore di 200 kW
  • Essere entrati in funzione almeno dopo l’entrata in vigore della legge che ha convertito il decreto

L’energia creata tramite le comunità energetiche deve infine essere condivisa attraverso la normale rete energetica di distribuzione già esistente.


Come funziona una comunità energetica

Una volta chiarite le sue caratteristiche principali, è opportuno dare un’occhiata al funzionamento concreto delle comunità energetiche, chiarendo come operano in pratica. Una volta che hanno aderito a una comunità energetica, infatti, i suoi partecipanti cessano di essere dei semplici “consumatori passivi” di energia, diventando dei cosiddetti “prosumer”, ovvero dei produttori e consumatori attivi. Attraverso il loro impianto rinnovabile, possono cioè sia produrre autonomamente elettricità, sia cedere una porzione di energia eccedente agli altri “soci”.

 

Quest’ultimo passaggio avviene attraverso la connessione di tutti gli associati a uno specifico sistema definito “smart grid” (in italiano, “rete intelligente”). Esso consiste in una serie di infrastrutture tecnologiche digitali e di sistemi di accumulo capaci di raccogliere i dati dei vari utenti con lo scopo di distribuire in modo ottimale l’energia elettrica tra loro.

 

Per allacciare il proprio impianto alla rete, tutti i membri della comunità energetica devono infine essere in possesso di un apposito “energy box”, cioè di uno strumento in grado di raccogliere e analizzare il flusso dei consumi connettendoli alla rete.

 

Anche se le norme attualmente vigenti si riferiscono in generale a tutte le tecnologie rinnovabili, gli esperti ritengono che il fotovoltaico sia quella maggiormente adatta a sfruttare al massimo i benefici previsti dalle attuali leggi.

 

Come funzionano le comunità energetiche

Il futuro delle comunità energetiche

Gli esperti stimano che nei prossimi anni la crescita delle comunità energetiche diverrà un fenomeno comune sia in Italia sia in Europa, sulla spinta delle norme dell’Unione Europea che ormai da anni ne hanno incoraggiato la costituzione.

 

Stando alle proiezioni effettuate da ENEA (Ente Nuove tecnologie per l’Energia e l’Ambiente), entro i prossimi tre decenni questa nuova forma di condivisione energetica potrebbe riguardare più di 260 milioni di persone, aiutando a combattere il cambiamento climatico e riducendo drasticamente le emissioni. Quanto all’Italia, un report effettuato dal Politecnico di Milano prevede che entro tre anni le comunità energetiche raggiungeranno quota 40mila.

 

Tutto, grazie al coinvolgimento attivo dei cittadini, che ne trarrebbero anche benefici individuali. I membri della comunità, infatti, risparmierebbero riducendo i costi in bolletta (circostanza utile soprattutto in periodi di rincari come quello attuale) e abbassando inoltre l’impatto degli agenti inquinanti nell’ambiente.


I vantaggi delle comunità energetiche per le imprese

Oltre che per i privati, le comunità energetiche potrebbero comportare dei vantaggi in numerose attività imprenditoriali abbattendo le spese per la produzione di energia ed efficientando gli investimenti normalmente sostenuti.

 

Sulla base dei calcoli più accurati, i singoli membri potrebbero rientrare dell’investimento risparmiando circa 169 €/MWh, ammortizzando così facilmente i costi nel breve-medio periodo.
Nel settore agricolo, ciò è già avvenuto nella provincia siciliana di Ragusa, che nel giugno del 2021 ha inaugurato la prima comunità energetica agricola d’Italia, raggruppando un consorzio di aziende del settore.